lunedì 20 dicembre 2010

Immedesimarsi

Dice il dizionario: « immedesimarsi v.rifl. partecipare emotivamente ad una vicenda, a una condizione altrui come fosse propria; identificarsi».

Questo, io credo, il segreto di Pietro Citati nel suo nuovo libro, Leopardi; leggere quelle pagine è come vivere accanto a Leopardi, parlargli, sentire il suono e il senso delle sue poesie; infine desiderare di consolare il giovane Giacomo per tutti i suoi dolori, piangere per lui, così grande, così solo, così indifeso contro le incomprensioni del mondo. Citati riesce a renderci partecipi perché lui stesso è partecipe.


A tal punto che...

... occhi, linea delle sopracciglie, capelli, atteggiamento della bocca, zigomi...
Perché altro, Citati, si sarebbe fatto ritrarre così in quarto di copertina se non per ribadire il profondo legame tra il critico e il poeta?

giovedì 9 dicembre 2010

Quei pilastri in calcestruzzo

Il film di Martone "Noi credevamo" non ha suscitato grande entusiasmo nella critica. A me è sembrato importante (senza contare che mi è proprio piaciuto). C'è chi storce il naso perché magari la ricostruzione storica non è perfetta - o forse non è in linea con il ben pensare?


E' vero anche che non è una novità che l'Unità d' Italia sia stata realizzata malamente. Il film, su questo, non aggiunge approfondimenti storici, ma qualcosa in più c'è: c'è la percezione che non si parli solo del Risorgimento, si parla anche dell' oggi; c'è la convinzione che l'Unità d'Italia non sia affatto una questione conclusa.

Nel corso del film compaiono i segnali di questo avvicinarsi al presente, piccoli particolari, fino ad arrivare ad inquadrare un edificio in costruzione, in cui è evidente l'uso del cemento; quei pilastri in calcestruzzo, così incongrui, su cui la macchina da presa si sofferma, ci riportano alla nostra dolorosa situazione di paese diviso e stanco.

Sarò una sentimentale, ma vedere la disillusione di Domenico nel constatare il fallimento degli ideali di giustizia sociale e libertà democratica per cui aveva tanto sofferto, mi ha fatto venire un groppo alla gola.

sabato 27 novembre 2010

Anche il commissario Montalbano in difficoltà

"«Mannaggia! E io che ho messo in libbirtà Gallo!».

«Mandiamo qualche altro».

«Dottore, non abbiamo personali. Con tutti questi tagli che ha fatto il governo...»

«E hanno macari il coraggio di chiamarla liggi supra alla sicurezza dei cittadini! Semo arridotti senza machine, senza benzina, senza armi, senza òmini... Si vidi che sunno seriamenti 'ntinzionati a favoriri la sdilinquenza. Basta. Che potemo fari?». (Andrea Camilleri, Il sorriso di Angelica, Sellerio 2010, p.103)


Pazienza l'economia che va a rotoli, pazienza che crolli La casa dei gladiatori a Pompei, e che la scuola e l'università pubbliche vengano disgregate, e che la cultura sia fatta a pezzi... ma che mi mettano in difficoltà anche il commissario Montalbano è troppo!

domenica 21 novembre 2010

Bricconcelli che ricattano il regime

Di questi tempi in cui basta una giovane ladruncola a mettere in difficoltà il "regime" (e insisto regime) mi fa un curioso effetto leggere Il nipote del Negus di Camilleri, libro divertentissimo.

Racconta e trasforma la storia di un nipote del Negus venuto in Italia a studiare attorno agli anni Trenta, prima della guerra etiopica. Il protagonista del romanzo, molto disinvolto con le donne, amante del lusso e della bella vita, ne combina di tutti i colori e riesce a farsi mantenere, senza badare a spese e senza, per altro, adempiere alle richieste che gli vengono rivolte (scrivere una lettera allo zio Negus per esaltare le virtù della Rivoluzione Fascista). Questo giovane principe di colore, bello, atletico, grande amatore e, soprattutto, furbissimo, riesce a prendersi gioco di tutti, addirittura del duce, mostrando il vero volto miserabile del regime fascista. Camilleri propone documenti e fatti inventati che, nella loro falsità, ricostruiscono perfettamente l'atmosfera di quell'Italietta ridicola governata da personaggi tronfi e volgari.
(Ahimé, come somiglia all'Italia di oggi!).


mercoledì 17 novembre 2010

XY


Ho appena finito l'ultimo libro di Veronesi, XY.

In questo momento mi è sembrato come un'allegoria del nostro tempo, soprattutto della nostra società italiana: una confusa raccolta di frammenti che non trovano un motivo di aggregazione. La storia, come è ormai noto da articoli e interviste, racconta di una strage incomprensibile, assurda, un delitto che sembra inspiegabile. Non a caso il frontespizio del romanzo riporta una citazione di Durrenmatt, di cui ho già scritto riguardo alla sua avversione per il genere giallo, dove tutto alla fine si può spiegare razionalmente: "Un fatto non può 'tornare' come torna un conto, perché noi non conosciamo tutti i fattori necessari ma soltanto pochi elementi per lo più secondari. E ciò che è casuale, incalcolabile, incommensurabile, ha una parte troppo grande".

Quindi il trionfo dell'irrazionale.

Eroi di questa storia sono due specialisti dell'irrazionale: un prete ed una psicanalista; sono due combattenti, molto dubbiosi ed umani, contro il Male, sì, proprio l'antico Male con la M maiuscola.

E' proprio questa impossibilità a trovare un percorso razionale che accomuna la storia di XY (le incognite per eccellenza? le due assi cartesiane? ) alla nostra società attuale, accozzaglia di elementi che ha smarrito ogni disegno complessivo.

Ad un certo punto, nel libro, si paragona l'avvenimento ad un incubo: "...questa storia somiglia a un incubo... Il crollo dei nessi di causalità, l'impossibilità di trovare vie d'uscita, il simbolismo radicale di ogni singolo evento, sono tutte cose che fanno di questa storia quanto di più vicino a un incubo mi sia capitato di vivere."
Mi sembra, decisamente, il ritratto della nostra vita pubblica, oggi, in Italia: "... abbastanza assurda da umiliare la ragione che cerca di spiegarla ma non così assurda da impedirci di star qui a osservarla..."

giovedì 4 novembre 2010

Felicità on the road

L'altra sera ho visto Mammuth con Dépardieu. E' definita una commedia: a me ha procurato un attacco di malinconia; probabilmente perché ho la stessa età del protagonista (e sono pure in pensione). Sono anche piuttosto in carne (non come Dépardieu, ma almeno come sua moglie). La mia tristezza è dovuta forse alla considerazione che qualsiasi fuga dalla quotidianità, qualsiasi avventura on the road, mi potrebbe piacere, ma non mi procurerebbe la felicità che regala invece al nostro eroe. Anche perché non mi ci vedo su una moto con tutti i miei libri, con il computer, con i miei cd e dvd, con pennelli colori e tele, con tutti gli armenicoli che mi salvano dalla noia: per essere felici bisogna essere semplici d'animo? cristianamente poveri di spirito?




Il film mi è piaciuto, ma non per quello che racconta. L'ho guardato, piuttosto, come se sfogliassi un album di foto: alcune sgranate, con una luce pallida; altre con contorni sfuggenti come scattate dalla moto in corsa; altre ancora con particolari che giganteggiano agli angoli dello schermo. Bellissima la scena con un pezzo di moto nell'angolo destro, in primo piano, e un mondo sfumato dietro. Quadri.

venerdì 22 ottobre 2010

Nero nero da ridere ma non troppo

Black comedy.

Aver a che fare con un camionista maschilista razzista nazista ignorante violento che disprezza tutto ciò che ha a che fare col pensiero... ammetto che possa risvegliare istinti omicidi. Naturalmente nelle persone normali arriva l'autocontrollo e al massimo uno può sfogarsi con qualche insulto ben piazzato (magari non troppo ironico, vista la levatura intellettuale di chi hai davanti: non capirebbe, per cui è meglio procedere con insulti espliciti).
Ma se devi costruirci su una storia, puoi liberamente scivolare nell'assurdo. Così viene fuori un bel film:
Una cena quasi perfetta di Stacy Title.
Intendiamoci: le mie simpatie non vanno certo al campionario di persone reazionarie che vengono invitate a cena per essere avvelenate dal gruppetto di amici (con cui, tra l'altro, condivido l'orientamento politico), ma certo che loro si fanno prendere la mano... mi fanno venire in mente certi gruppuscoli di estrema sinistra di casa nostra, che hanno perso completamente il senso della realtà, ma con una differenza: questi qui, intendo gli estremisti nostrani, non danneggiano nessuno, ma neanche combinano un granché, a parte parlarsi addosso.
Comunque il film mi è piaciuto e, anche se la critica non è molto positiva, mi sono proprio divertita.

Il finale, poi, è altamente istruttivo.

domenica 3 ottobre 2010

Chi ha paura dei fantasmi?

Ho già scritto che non credo al soprannaturale, ma questo non mi impedisce di trovare affascinanti le storie misteriose (purché raccontate con garbo e intelligenza). E' lo stesso atteggiamento che provo nei confronti dei fatti di cronaca nera: non c'è verso, non mi appassionano; tutti quei fattacci che tengono inchiodati tanti Italiani di fronte al video non mi dicono nulla, mi annoiano. Eppure amo il genere poliziesco, mi piacciono i gialli.

Ho appena finito di leggere un raccontino ingegnosissimo e molto "ghost" (Ti trovo un po' pallida) e nella postfazione dell'autore, che parla di sé, ho trovato la descrizione, tracciata con ineffabile ironia, del mio rapporto con l'irrazionale: "Personalmente non ho mai visto o sentito fantasmi né ho mai fatto nulla per cercare di evocarli. La grande questione della vita oltre la morte non mi ha mai interessato (finora) anche se so che sta invece a cuore a moltissimi, in un modo o nell'altro. Ma l'evocazione letteraria è un'altra cosa e una ghost story organizzata coi dovuti effetti ti può appassionare, quasi convincere, comunque impressionare".

Chi scrive è Carlo Fruttero; e continua, raccontando di una sera, da giovane, in cui aveva avuto l'impressione di essere seguito nel buio (e chi non l'ha mai avuta, con l'irrefrenabile impulso di voltarsi indietro?): "Mi fermavo, ma senza voltarmi. Poi ripartivo a sorpresa, in fretta. E quello dietro... Allora mi imponevo una sosta raziocinante... Immobile sotto la luna consideravo i fatti... Ma certo! Ero io stesso il fantasma, ero io a sollevare coi miei tacchi piccole cascate di ghiaia che ricadendo alle mie spalle... Nei miei rapporti col mondo soprannaturale non sono mai andato più in là di così, anche se quel giovanile episodio mi fa pensare che un incontro con un "vero" ectoplasma mi lascerebbe stecchito".

venerdì 24 settembre 2010

Zigzagando attraverso trame oscure: la Fiat e i Torinesi

Se si vuole leggere un giallo costruito in modo perfetto...
Se si vuole leggere una storia che si dirama in tante direzioni, che si intreccia in innumerevoli fili, ma senza perderne mai nessuno...
Se si vuole capire il rapporto dei Torinesi con la Fiat...
Se si cerca una scrittura densa di significati...
"A che punto è la notte" di Fruttero & Lucentini, edito per la prima volta nel 1979, è un romanzo avvincente la cui trama procede inciampando con grande abilità in gustosi equivoci e rimandando continuamente la soluzione, che comunque arriva con logica implacabile. E intanto che si aspetta la fine della storia si delineano con fine ironia personaggi ed ambienti tratteggiati con indimenticabile evidenza. In fondo sono tante storie che si depositano una sopra l'altra per raccontarci la società torinese illuminata (?) dal suo dio pagano amato-temuto-odiato: la Fiat.
Divertentissime le scene nella casa editrice. Impagabile il diario della Pietrobono, assistente di polizia.
La scrittura impone, a volte, delle pause per rileggere una frase troppo perfetta per lasciarla scorrere via.

sabato 28 agosto 2010

Breve la vita felice (?) di Pipino il pipistrello

L'altra sera mi sono svegliata per un noto svolazzare in camera, nel mezzo della notte (tengo sempre le finestre aperte): era lui, il pipistrello; ed era ben la terza volta in questa estate. Il primo incontro di quest'anno è stato in una sera di giugno: ero al computer che tengo nel seminterrato (ahimé, sono una tavernicola poco ortodossa), tutto era buio intorno ed ho sentito come un' ala nera che passasse silenziosa (da brivido, vero?). Sono pressocché immune da superstizioni, ma le paure inculcate dall'infanzia mi sono rimaste appiccicate alla pelle, perciò ho avvertito immediatamente un formicolio alla testa (la nonna che diceva: perché, sai... ti si attaccano ai capelli e devi tagliarli se non vuoi che ci facciano il nido!).
In realtà rimpiango un pipistrello in particolare, il nostro pipistrello Pipino. Mi è venuto in mente per la notizia ascoltata oggi al telegiornale regionale: a Vicenza hanno appena celebrato la Notte dei pipistrelli. Ho scoperto anche che c'è gente che ama i pipistrelli e cerca di proteggerli (EUROBATS).
E ora racconto la triste storia di Pipino.
Tornavamo dalle vacanze fatte senza la figlia minore rimasta a casa (perché? non lo ricordo) e abbiamo trovato un nuovo inquilino nel nostro bestiario: lui, cucciolo, pulcino o piccolo - non so come definirlo. Morta la mamma dentro il serbatoio del deumidificatore, lui - o lei - aggrappato/a alla tela del divano, secondo la ricostruzione dei fatti. Così abbiamo cercato di allevarlo.
Eccolo qui il nostro campione.




Ora vuole mangiare - pensiamo noi.



E glielo diamo, omogeneizzato di prima qualità! (Erano cadute nel vuoto le suppliche a figlie e nipote perché procurassero insetti).


Ma breve è la vita felice di Pipino, vittima della follia igienica di noi umani: aveva delle pulci e non essendoci una letteratura illuminante in materia, ci siamo arrangiati nello stesso modo con cui trattiamo cani e gatti di casa.
Forse non ha retto l'affronto.

giovedì 26 agosto 2010

Dalla Grecia antica con amore: parliamo di federalismo

Ho appena finito di leggere il saggio di Ampolo sulla città greca (saggio inserito nell'opera I Greci di Einaudi): è incredibile quanto possano ancora dirci gli antichi sul nostro presente.
In particolare mi ha colpita il concetto di "società faccia a faccia", che nasce appunto nell'ambito della polis (tralascio la questione del diverso concetto di democrazia, che non è comparabile con quello contemporaneo).
Il problema nella polis (entità paragonabile ad uno stato, come oggi lo concepiamo) è combinare la necessità dell'unità con le esigenze particolari delle singole comunità: e quando noi parliamo di federalismo, non ci troviamo forse davanti allo stesso dilemma?
Scrive Ampolo: "In modi diversissimi, che si manifestano nella grande varietà delle istituzioni e dei regimi politici, le città greche hanno combinato lo spirito di comunità con la creazione di un quadro unitario relativamente più ampio, nel quale era importante non solo l'affermazione di una identità unica sul piano politico e religioso (quella della polis) ma anche una partecipazione e un'equa distribuzione di tutto tra le varie componenti."
Invece di blaterare di federalismo in modo strumentale, procedendo per slogan che vogliono dire tutto e niente, sarebbe utile ampliare lo sguardo, ascoltare la storia e la cultura e non pretendere di ridurre una questione così complicata a merce di scambio, semplificando ciò che è per natura complesso.
Ma il tutto sembra nelle mani sbagliate, o per lo meno in teste incapaci di comprendere la complessità. E in questa semplificazione si insinua anche il pensiero che un luogo sia per sempre proprietà di un gruppo e che nessuno possa pretendere di farne parte se è "straniero" o "non omologato".
Così copio Ampolo, e ricorro ad una citazione da Le città invisibili di Italo Calvino:
"... talvolta città diverse si succedono sopra lo stesso suolo e sotto lo stesso nome, nascono e muoiono senza essersi conosciute, incomunicabili tra loro. Alle volte anche i nomi degli abitanti restano uguali, e l'accento delle voci, e perfino i lineamenti delle facce; ma gli dèi che abitano sotto i nomi e sopra i luoghi se ne sono andati senza dir nulla e al loro posto si sono annidati dèi estranei".
Solo l'arroganza dei cretini si permette di pensare che un qualsiasi luogo rimanga uguale a se stesso per sempre, senza cambiamenti, senza apporti di varia natura, senza inquinamenti ad opera della diversità.

mercoledì 18 agosto 2010

L'antigiallo



Se, come ho scritto tempo fa, il giallo decreta il trionfo della razionalità e garantisce il ristabilirsi della giustizia, esiste anche l'antigiallo; che, naturalmente, metterà in scena il fallimento della ragione e, di conseguenza, il non raggiungimento dello scopo primario di ogni indagine: la punizione del colpevole.


Nemico dichiarato del genere poliziesco, Durrenmatt scrive appunto l'antigiallo, anzi scrive "un requiem per il romanzo giallo" : nel suo breve romanzo La promessa (da cui è stato tratto l'omonimo film di Sean Penn) costruisce la sconfitta del detective per eccellenza, l'ispettore Matthai, che, pur avendo correttamente ragionato ed indagato, perderà la partita per una banale casualità.
Marina Polacco, nel suo saggio L'intertestualità, riporta la seguente affermazione di Durrenmatt, molto illuminante sulla natura del genere giallo: "No, quel che mi irrita di più nei vostri romanzi è l'intreccio. Qui l'inganno diventa troppo grosso e spudorato. Voi costruite le vostre trame con logica; tutto accade come in una partita a scacchi, qui il delinquente, là la vittima, qui il complice, e laggiù il profittatore; basta che il detective conosca le regole e giochi la partita, ed ecco acciuffato il criminale, aiutata la vittoria della giustizia. Questa finzione mi manda in bestia". Vero, verissimo, ma è proprio per questo che a me piace questo tipo di narrativa: so bene che è consolatorio, ma dobbiamo sempre soffrire?

domenica 15 agosto 2010

Filosofia e carbonara

Finalmente parliamo di cose serie, ovvero di cibo. E tanto seria è la questione che bisogna scomodare concezioni del mondo; la questione (e costituisce motivo di profondo dissenso tra me e mio marito) è: nella carbonara ci va la cipolla o l'aglio? Premetto che, dovendomi io attrezzare per contestare la tesi avversa (quella appunto del consorte), ho bighellonato un po' tra libri ed internet ed ho scoperto che la carbonara che faccio io è diversa da tante altre. Ma vengo alla materia del contendere: io sostengo (e metto in pratica con palese soddisfazione di tutti quelli che mangiano la mia carbonara) l'uso della cipolla e procedo così: soffriggo la pancetta affumicata; quando è rosolata aggiungo la cipolla affettata e cuocio finché diventa un po' marroncina, ma non tanto; a parte, in una terrina, sbatto due tuorli ed un uovo intero, aggiungo abbondante parmigiano grattugiato, sale, pepe e prezzemolo tritato; quando gli spaghetti sono al dente, li scolo, li passo nella terrina e verso il tutto nel tegame della pancetta e cipolla (senza cucinare, per carità!). E' pronta, mangiamo senza discussioni, poi la solita osservazione: ma ce l'hai messo l'aglio? E qui, appunto, si rivelano due concezioni del mondo opposte:
  • quella di mio marito che, cultore dell'aglio, lo metterebbe dovunque: è un'idea che tende all'omologazione, alla globalizzazione che azzera le differenze - anzi no, rispolvera, addirittura, la reductio ad unum di medievale memoria, perché stabilisce una gerarchia al vertice della quale sta l'AGLIO
  • la mia concezione del mondo, che mi spinge ad usare in alcuni piatti l'aglio, in altri la cipolla, in altri ancora tutti e due; ed è un'idea che dà spazio alla diversità e ne fa un valore.

A parte le facezie, a parte il fatto che continuerò a fare e far mangiare la carbonara alla mia maniera, c'è qualcuno che mi dice se ci si deve mettere la cipolla, oppure l'aglio, oppure tutti e due, oppure nessuno dei due?

venerdì 13 agosto 2010

La vita è sogno ?

Ho visto Shutter Island di Martin Scorsese. E' un regista che mi piace; penso che sia un grande regista. La critica non è concorde nel giudizio su questa sua ultima opera; io mi sono sentita catapultata in un mondo claustrofobico e angoscioso, travolta dalle immagini che catturano quasi fisicamente lo spettatore per imprigionarlo dentro lo schermo.
Un film sulla violenza ? Un film sulla sottile linea che divide follia e sanità mentale ? Non ho letto il libro da cui è tratto (L'isola della paura di Dennis Lehane), quindi considero solo la pellicola in sé; e il mio interesse si concentra su un tema che mi ha sempre appassionata, fin dagli studi liceali di filosofia: la realtà è veramente oggettiva, "reale", oppure è solo una costruzione mentale? Vedere il film per rispondere (o meglio: per non rispondere).

giovedì 5 agosto 2010

Una mostra da non perdere (eppure deserta)


Ieri a Villa Manin (Passariano): eravamo in sette, sei adulti e una bambina. La bambina, forse di sette anni, era con i nonni; sembrava sinceramente interessata. Poi c'erano due giovani donne. Infine mio marito ed io.

Questi i visitatori (in un giorno feriale, per carità... di agosto, per carità...) della splendida mostra sui fratelli Basaldella. L'anziana signora che ci ha venduto il catalogo ci ha detto che i visitatori sono stati pochissimi, e pochissimi, tra loro, i giovani.

Mi sono piaciute le opere di scultura di Mirko e di Dino, alcune più di altre. Di Dino preferisco i pannelli, di Mirko i totem.

Ma i dipinti di Afro mi hanno incantata, soprattutto quelli con il rosso, magari accostato al verde.

Solo due considerazioni (di tanto che ci sarebbe da dire). La prima: la capacità di trasformare la memoria in colore luce e segno è insuperabile e lascia stupefatti, come di fronte ad un miracolo.

La seconda: lo stretto legame con la tradizione veneta del tonalismo situa un artista internazionale come Afro lungo la linea che parte da Giorgione-Tiziano per arrivare fino ai giorni nostri.

Ed una considerazione marginale: tanti sedicenti studiosi di cultura veneta, di lingua veneta, di tradizione veneta, riescono a leggere nell'opera di Afro queste radici? (veramente, in un angolino della mia mente, c'é un'altra insolente domanda: questi sedicenti studiosi di cultura veneta riescono a "leggere" tout court?)

lunedì 26 luglio 2010

Il giallo perfetto

Perché amo i gialli? Perché sono razionali. Mettono ordine nel caos della vita e della morte. Per quanto efferato sia il delitto proposto, per quanto sconvolgente sia la confusione che un delitto genera nella società, si è sicuri che alla fine i conti torneranno. Non dico che vengano risolti materialmente i casi, ma lo saranno razionalmente, il che è pacificatorio per lo spirito: te ne fai una "ragione". Non così nella vita, in cui spesso sfugge la razionalità delle decisioni altrui (e qualche volta anche il senso delle scelte proprie). Quindi il giallo è un sollievo.


Il giallo è consolatorio anche per un altro motivo, essenziale per una persona civile: alla fine, viene ripristinata la legalità, o per lo meno (anche se qualche potere forte, occulto o no, tenta di impedirlo) è chiaro per tutti che la legalità rimane un valore imprescindibile. Si può dire altrettanto della vita reale in questi tempi bui?

Nelle opere che preferisco il meccanismo narrativo rende razionali e plausibili gli avvenimenti in modo che questi convergano in un finale che ristabilisca l'ordine e al tempo stesso escluda ogni intervento soprannaturale; in questo senso il giallo perfetto è "Dieci piccoli Indiani" di Agatha Christie.



In questo gioiello narrativo, come leggo nella postfazione di Falzon, «Nigger Island costituisce anche un viaggio a ritroso del Super-Io che, uscito dalla legalità che gli è propria, si immerge nelle profondità dell'Es animalesco... è una regressione verso un sistema di punizione "primitiva" ... La giustizia illegale dell'isola non mette in dubbio la legalità della giustizia sulla "terraferma", anzi la rafforza perché ribadisce la sua inevitabilità e l'impossibilità per un colpevole di fuggire dalle sue maglie»


Continua Falzon con una citazione di Tzvetan Todorov: «I condannati - e il lettore - tentano invano di scoprire chi esegua le punizioni che si susseguono... Nessuna spiegazione naturale sembra possibile. Bisogna ammettere l'esistenza di esseri invisibili, e di spiriti. Evidentemente tale ipotesi non è realmente necessaria e non mancherà la spiegazione naturale» (La letteratura fantastica, Garzanti, Milano, 1977, p.51).

martedì 20 luglio 2010

Cosa leggerò ad agosto?

L'altra sera con un' amica-lettrice si parlava di letture estive. L'estate è già avanti e certamente chi doveva dare consigli li ha già dati; tanto pour parler, penso alle estati scorse, a quel che mi è piaciuto leggere soprattutto: gialli gialli volentieri, ne ho una lista infinita. Si potrebbe obiettare che le letture "estive" hanno senso solo per chi lavora e va in vacanza in estate; che i fortunati-poveri pensionati possono disporre di letture senza etichette. Eppure, che nostalgia il borsone dei libri, alcuni pensati, altri raccattati all'ultimo momento! Quei libri saporosi di aromi salmastri o montani, magari da rubarsi impazienti tra moglie e marito, tra figlie e genitori! La lettura "estiva" non è un semplice accadimento casuale, ma una categoria dello spirito.

E allora chi tiro fuori dal borsone? La Fred Vargas no, perché di solito, quando arriva l'estate, ho già letto il suo ultimo libro, Camilleri... Augias...Carofiglio...Agatha Christie...Durrenmat...

Fruttero & Lucentini, che ho conosciuto per una memorabile Antologia della fantascienza edita da Einaudi (la mia edizione è del 1968) curata appunto dai due scrittori. (Ma la fantascienza è un altro capitolo; oggi parlo di gialli).

I titoli che mi vengono in mente: Il palio delle contrade morte, La donna della domenica, Enigma in luogo di mare, ma ce ne sono ancora altri che aspirano all'etichetta estiva. Anzi, alcuni non sono ancora nel borsone!

domenica 11 luglio 2010

Il viaggio dell'elefante

Impossibile resistere: un viaggio e Saramago.

La parola viaggio per me è altamente evocativa: di percorsi sognati, realizzati, solo desiderati, liberatori, folgoranti di scoperte.

Tutto è viaggio.

Di questo libro di Saramago dico solo che mi piacerebbe sorvolare l'avventurosa e pittoresca carovana, che da Lisbona ha portato fino a Vienna Salomone-Solimano, l'elefante, e Subhro-Fritz, il suo cornac.
Il significato del libro? Prendo in parola lo stesso autore che dice:
"Ogni lettore ha diritto a leggere alla sua maniera. C'è già fin troppa gente che ci dice cosa dobbiamo fare e cosa dobbiamo pensare. Un buon romanzo deve essere uno spazio di libertà che solo apparentemente ci deve condizionare. Il lettore può chiudere le porte che lo scrittore ha aperto, e aprirne altre. Il romanzo è uno dei romanzi possibili. Niente di più". (da un articolo di Paolo Collo su Repubblica del 2 aprile 2009).
Grazie, Saramago. Mi prenderò la libertà di ricreare l'incanto della tua fiaba in un racconto illustrato per bambini. Penso che ti farà piacere.






P.S.: Per i curiosi che volessero sapere come è venuto in mente a Saramago l'idea del romanzo riporto dalla sua prefazione:
"Se Gilda Lopes Encarnação non fosse lettrice di portoghese all'Università di Salisburgo, se io non fossi stato invitato ad andare a parlare agli studenti, se Gilda non mi avesse invitato a cena nel ristorante L'Elefante, questo libro non esisterebbe. C'è voluto che gli ignoti fati si coniugassero nella città di Mozart perché io potessi domandare: «Che cosa sono quelle figure?» Le figure erano delle piccole sculture di legno disposte in fila, la prima delle quali ... era la nostra Torre di Belém. ... Mi fu detto che si trattava del viaggio di un elefante... Il libro che ne risulta è qui... " (José Saramago, Il viaggio dell'elefante, Einaudi 2009)

martedì 6 luglio 2010

La donna e il potente

Una donna che si innamora (o fa finta di innamorarsi per interesse) e poi si accompagna ad un uomo che diventa potente, molto potente… (Non entro nel merito della scelta: non è facile capire come si possa “innamorarsi” di certi tipi, ma questo è un parere personale).
A questa donna, quando non è più utile al potere o diventa scomoda per quel che fa o dice, cosa succede?
Viene denigrata pubblicamente, distrutta se è possibile. Di chi parlo? Ecco un altro indovinello.
Parlo forse di lei ?

Non esattamente, ma se qualcuno volesse stabilire dei paralleli avrebbe tutta la mia approvazione. C'è da dire che, in fondo, l'esito della vicenda non sia stato poi così terribile per V.L.; non altrettanto bene è andata alla donna di cui sto parlando. Riporto un altro indizio:

" Un uomo, il Duce, tanto carezzevole con i bambini quanto mite con gli adulti, compresi i suoi numerosi amici ebrei... E poi, scappatelle erotiche a parte, che incantevole padre di famiglia!...
Il meccanismo è quello consueto - scoperto, eppure insidioso - che fa leva sulle qualità private per suggerire pubbliche virtù. Se un dittatore è capace di affetti, o addirittura di amore, non significa forse che è un dittatore dal volto umano?" (da un articolo di Sergio Luzzatto pubblicato sul Corriere il 14 gennaio 2005)

Nell'articolo si parla di Ida Dalser, la donna cancellata da Mussolini.


Non conoscevo esattamente la sua vicenda, ma l'altra sera ho avuto modo di vedere (su Sky) il bel film di Bellocchio, Vincere, che di lei parla.
Ida Dalser è un personaggio controverso, ma la sua fine rimane tragicamente emblematica di come il potere sia pronto a sbarazzarsi delle persone scomode.

In margine una nota sul film, di cui ho apprezzato anche gli aspetti formali: interessante l'esordio "futurista", che sa ricreare l'atmosfera di quel periodo; poi il film procede con toni più intimi, ma sempre efficaci nel trasformare una vicenda privata in testimonianza: il vero volto del potere è la crudeltà.

domenica 27 giugno 2010

Fuga numero tre


In “Non è un paese per vecchi” al di là dell’ovvio richiamo al film dei Coen – più che al romanzo di McCarthy- è quella fuga di pali della luce, stagliati sul fondo rosso del cielo, a suggerire l’idea di dover eternamente scappare: chi è inseguito e chi insegue. E’ il tema dominante del film, l’ansia di non fermarsi mai, per trovare pace solo nella fuga estrema della morte. Il quadro riprende la suggestione dell’immagine di apertura del film.

sabato 26 giugno 2010

Fuga numero due




In “Viaggio infinito” la fuga è intimamente collegata a quel desiderio di perdersi e dimenticarsi nell’eterno fuggire di un viaggio. L’ispirazione dell’opera proviene infatti da un percorso iniziato a Venezia con varie tappe lungo l’Adriatico e poi l’Egeo fino al Bosforo e Istanbul, con l’incanto degli arrivi e delle partenze nei vari porti e con una navigazione in vista delle coste e tra le isole. Si determina una situazione di straniamento che è fuga da sé e dalla propria vita di sempre. Nel quadro le parole illustrano questo stato d’animo.
La Poesia circolare: ... e poi andare per sempre lungo le coste frastagliate e vedere il colore del mare che cambia col trascorrere dell'ore vedere le luci della costa che ammiccano insolenti nel richiamo ma noi guardiamo i giochi del sole della luna delle stelle del cielo sulle onde voraci che ci mangiano il cuore ci strappano i ricordi ci trascinano nel viaggio infinito ci consolano nell'eterno presente di uno sguardo che si posa ammaliato sui riflessi del mare senza tempo andare e andare e poi andare...

venerdì 25 giugno 2010

Libertà vo cercando


In “Libertà negata” il motivo più immediato fa riferimento alla situazione delle donne in Afghanistan dopo l’ascesa al potere dei Talebani nel 1996: la fuga è qui intesa come ricerca di una libertà che le donne si videro negata dal regime imposto dai fondamentalisti islamici, libertà di professione, di studio, di essere curate in strutture sanitarie, di circolare liberamente, in una parola, di vivere da esseri umani. Al tempo stesso il quadro allude anche ad una condizione universale femminile, in cui spesso anche una gabbia dorata insinua nell’animo l’ansia della fuga.

Tre quadri un motivo




Mi hanno chiesto tre quadri (per una galleria) che avessero qualcosa in comune: eccoli qui, molto diversi. Sembra che nulla li accomuni. Ma c'è un motivo conduttore, la fuga. Uno alla volta lo racconterò.

sabato 19 giugno 2010

Il mio saluto a Saramago

Penso che in questi giorni si spenderanno fiumi di parole per ricordare Saramago. Desidero salutarlo anch'io, consapevole che non sarò né originale né profonda. Voglio solo dire che il mondo sarà un po' più triste e senz'altro meno civile: la sua presenza mi ricordava che da qualche parte c'era qualcuno che interveniva lucidamente nel caos di barbarie che ci sta sommergendo.
Nella mia biblioteca sono molti i libri di Saramago che devo ancora leggere; proprio per ricordarlo lascerò da parte altre letture e mi dedicherò solo alle sue opere. Tra gli scritti che ho già letto preferisco Cecità: è il romanzo che me lo ha fatto conoscere ed è un po' come il primo amore. Romanzo eccezionale e coinvolgente, uno di quei libri che si cominciano e non puoi smettere di leggere anche se ti angosciano. Indimenticabile la moglie del medico, una donna che racchiude in sé un'accorata saggezza tutta femminile. Il romanzo si chiude con il suo sguardo sulla città:

Perché siamo diventati ciechi, Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione, Vuoi che ti dica cosa penso, Parla, Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.
La moglie del medico si alzò e andò alla finestra. Guardò giù, guardò la strada coperta di spazzatura, guardò le persone che gridavano e cantavano. Poi alzò il capo verso il cielo e vide tutto bianco, E' arrivato il mio turno, pensò. La paura le fece abbassare immediatamente gli occhi. La città era ancora lì.

martedì 1 giugno 2010

Amenábar-Almodóvar

Nel post del 28 maggio avevo automaticamente scritto Almodóvar invece che Amenábar, errore che poi ho corretto grazie alla segnalazione di una lettrice. Un lapsus dovuto al mio amore per Almodòvar, di cui guardo e riguardo le pellicole, specialmente Volver che preferisco su tutte.
Questa svista mi permette anche di precisare un mio pensiero: dicevo che solo una donna sa raccontare un'altra donna, ma certamente ci sono delle eccezioni e Almodóvar è una di queste. In Volver ha saputo delineare con nostalgia un mondo femminile fatto di solidarietà e complicità di donne, un mondo in cui vorremmo essere incluse per sentirci protette ed amate e vive. Un mondo reso ancor più struggente dal bellissimo tango di Gardel, Volver (come il titolo del film), cantato da Penelope Cruz.

venerdì 28 maggio 2010

Quale Ipazia ?

Quale Ipazia?
Prima che arrivasse in Italia il film di Amenàbar, Agorà, mi ero già imbattuta nel bel libro di Adriano Petta e Antonino Colavito dedicato a Ipazia, Ipazia Vita e sogni di una scienziata del IV secolo, un libro molto istruttivo, come dice nella prefazione Margherita Hack: "Questa storia romanzata ma vera di Ipazia ci insegna ancora oggi quale e quanto pervicace possa essere l'odio per la ragione, il disprezzo per la scienza. E' una lezione da non dimenticare, è un libro che tutti dovrebbero leggere". Mi è molto piaciuta questa Ipazia eroina della razionalità, così vicina a noi in questo mondo, in questa Italia, dove sembra trionfare l'oscurantismo.
Ho poi cercato a lungo il romanzo di Caterina Contini Ipazia e la notte edito nel 1999 senza successo; in effetti quel romanzo è stato appena stampato con il vero nome dell'autrice, Maria Moneti Codignola, e con il titolo Ipazia muore: ho così scoperto un'Ipazia forse meno coerente con il suo destino di scienziata martire della ragione, ma molto umana, molto più femminile, forse perché solo una donna sa raccontare veramente un'altra donna.
E l'Ipazia del film? Non so definirla esattamente, so solo che l'uscita del film in Italia ha incontrato delle difficoltà; so anche che il regista ci ha risparmiato la terribile visione della sua fine, che nei due romanzi è raccontata con tutta la crudeltà necessaria a far sorgere l'indignazione.

martedì 25 maggio 2010

Lella e Alice


Venerdì 21 maggio sono andata a vedere-sentire Lella Costa in Alice Una meraviglia di paese a Noventa di Piave nel bel parco di Ca' Zorzi: sono le occasioni per ricordarsi che esiste ancora la possibilità di perdersi - ma solo per ritrovarsi - nel gioco letterario e fantastico di chi sa condurti in un mondo meno meschino; come ci dice Michele Serra nella prefazione di Amleto, Alice e la Traviata, per noi " che ce ne andiamo in giro con la testa e lo sguardo zavorrati da milioni di cose non tutte in ordine, e soprattutto non tutte utili" è un sollievo riuscire, grazie al suo teatro, ad "orientarsi daccapo".

E soprattutto "La leggerezza di Lella in teatro ... è una consolazione per chi crede (o sogna) che la percezione della bellezza dell'arte possa essere beneficio di molti, e non privilegio di pochi."

venerdì 21 maggio 2010

Primo indovinello: chi è?

Indovinello primo, perché ce ne saranno altri. Il gioco di trasferire comportamenti umani e atmosfere di epoche storiche dal passato al presente non l'ho certo inventato io, ma mi è sempre piaciuto.

E' vero, la storia mai si ripete; ma questo è solo un gioco.


Ogni volta che leggo un libro che parla di tempi passati, vivo su due piani strettamente congiunti, l'oggi e il tempo del romanzo. Questa volta tocca a Ipazia muore (Ipazia, a cui dedicherò presto altre noticine) di Maria Moneti Codignola.


Allora, di chi si parla?


«... tutto quello che abbiamo fatto finora, io con la filosofia e tu con l'osservanza scrupolosa delle leggi e con le guardie, non è servito a niente. La gente se ne infischia della filosofia e del diritto. Delle guardie ha paura, questo sì, ma quando vede che la sua forza sta crescendo e che le guardie invece sono sempre più deboli, prende baldanza. E poi ci sono emozioni più forti della paura, ci sono entusiasmi, eccitazioni e furori che spingono gli uomini alle azioni più insensate ... Il loro (...?) sta diventando di giorno in giorno più popolare e quindi potente, le masse lo seguono, vanno in delirio per lui. Non vogliono discorsi razionali e freddi, ma incitamenti, grida di battaglia, emozioni forti. E vogliono immedesimarsi nel loro capo, vogliono poterlo amare, adorare. Conta di più il modo di gestire, di recitare la propria parte, di andare in scena con dispendio di effetti, che non il parlare pacatamente, l'argomentare con ragionamenti corretti.»


No, non si parla di "lui", ma del vescovo Cirillo, santo e padre della Chiesa.


E Ipazia esorta il prefetto Oreste ad imparare ad usare le armi comunicative di questo bel personaggio: «Sì, deve essere una sorta di spettacolo, una pantomima come quelle che mandano in visibilio il popolino e lo riempiono di emozione. ... dovrai anche mettere in mostra le tue ferite, ... perché l'immagine del prefetto come uomo ferito, sanguinante, che soffre, insomma di una vittima, piace alla gente, soprattutto alle donne, e suscita simpatia, anzi adesione appassionata.»


E' l'oggi che riscrive momenti del passato o è il passato che prefigura l'oggi? Bel giochino.

mercoledì 19 maggio 2010

L'attimo e il fulmine...a proposito di Giorgione






In occasione della mostra su Giorgione ho letto molti interessanti scritti, specifici e non; ho trovato affascinante l'analisi, inserita in un contesto generale sulla pittura, svolta da Flavio Caroli che nel suo libro Il volto e l'anima della natura sottolinea come la luce "attimale" del fulmine diventi l'inizio di un percorso verso quella quotidianità che pervade la pittura moderna: "C'è la luce attimale del fulmine che istantaneamente - appunto - acceca il mondo. Attenzione: anche questo passaggio, per l'arte, è risolutivo. Qui comincia un ulteriore viaggio della pittura occidentale moderna, che si muoverà sempre più dalla assolutezza verso la quotidianità (e sempre più verso una «attimalità» della visione) perché la tensione verso la verità quotidiana appartiene al destino dell'espressione occidentale."

Il libro di Caroli è una lettura stimolante, così come è stato piacevole ascoltarlo da Fazio, e la sua nota su Giorgione sa condensare in una parola - attimalità - un itinerario complesso.

A proposito della mostra: ho sentito la mancanza di alcune opere chiave come I tre filosofi e Laura; posso capire che Vienna non li abbia concessi a Castelfranco; non posso invece capire - o forse mi mancano elementi di giudizio - perché un'altra opera importante come La Vecchia non abbia affrontato il breve viaggio da Venezia.

domenica 16 maggio 2010

Ciao mondo!


"Una cosa era certa: la gattina bianca non c'entrava per nulla. Era tutta colpa della gattina nera. Infatti da un quarto d'ora la gattina bianca si stava facendo lavare il muso dalla vecchia gatta (e senza nemmeno protestare troppo, per giunta): così vedete che non poteva aver niente a che fare col misfatto." [incipit di Through the Looking-Glass di Lewis Carroll]
Altra cosa certa: vi racconterò un po' di cose.
Nel frattempo, per divertirsi con Alice e altro, potete godervi questi begli esercizi di stile!