sabato 2 giugno 2012

Meditazioni sulla bicicletta (complemento di luogo) e sulla morte (complemento di argomento)


Nel senso che, quando corro in bicicletta, mi perdo in riflessioni di vario tipo. Ed ora che l'età avanza e non sono più giovane, è abbastanza normale che mi venga in  mente la morte. Qualcuno dirà: che allegria!
Ma io credo che non sia poi così lugubre la faccenda, per il semplice motivo che la propria morte per chi la pensa non esiste; una volta che uno è morto, la cosa finisce lì, non c'è altro che il nulla, e dunque nessuna sofferenza più, nessun ricordo, né bello nè brutto.
Dovremmo tutti pensare alla propria dipartita con una certa serenità.
La morte degli altri è per noi dolorosa, perché si soffre dell'assenza di chi non c'è più, ma la propria... non esiste.
Così il principe Fabrizio Salina, nel romanzo di Tomasi di Lampedusa, Il gattopardo, che non a caso inizia con il verso dell'Ave Maria "Nunc et in hora mortis nostrae. Amen", medita: «Come sempre la considerazione della propria morte lo rasserenava tanto quanto lo aveva turbato quella della morte degli altri; forse perché, stringi stringi, la sua morte era in primo luogo quella di tutto il mondo?».
Perfetto.
E comunque, pedala pedala... ma sarà meglio pensare alla strada e non distrarsi, perché, d'accordo, la mia morte può anche non addolorarmi, ma non è un buon motivo per affrettarla.