sabato 27 novembre 2010

Anche il commissario Montalbano in difficoltà

"«Mannaggia! E io che ho messo in libbirtà Gallo!».

«Mandiamo qualche altro».

«Dottore, non abbiamo personali. Con tutti questi tagli che ha fatto il governo...»

«E hanno macari il coraggio di chiamarla liggi supra alla sicurezza dei cittadini! Semo arridotti senza machine, senza benzina, senza armi, senza òmini... Si vidi che sunno seriamenti 'ntinzionati a favoriri la sdilinquenza. Basta. Che potemo fari?». (Andrea Camilleri, Il sorriso di Angelica, Sellerio 2010, p.103)


Pazienza l'economia che va a rotoli, pazienza che crolli La casa dei gladiatori a Pompei, e che la scuola e l'università pubbliche vengano disgregate, e che la cultura sia fatta a pezzi... ma che mi mettano in difficoltà anche il commissario Montalbano è troppo!

domenica 21 novembre 2010

Bricconcelli che ricattano il regime

Di questi tempi in cui basta una giovane ladruncola a mettere in difficoltà il "regime" (e insisto regime) mi fa un curioso effetto leggere Il nipote del Negus di Camilleri, libro divertentissimo.

Racconta e trasforma la storia di un nipote del Negus venuto in Italia a studiare attorno agli anni Trenta, prima della guerra etiopica. Il protagonista del romanzo, molto disinvolto con le donne, amante del lusso e della bella vita, ne combina di tutti i colori e riesce a farsi mantenere, senza badare a spese e senza, per altro, adempiere alle richieste che gli vengono rivolte (scrivere una lettera allo zio Negus per esaltare le virtù della Rivoluzione Fascista). Questo giovane principe di colore, bello, atletico, grande amatore e, soprattutto, furbissimo, riesce a prendersi gioco di tutti, addirittura del duce, mostrando il vero volto miserabile del regime fascista. Camilleri propone documenti e fatti inventati che, nella loro falsità, ricostruiscono perfettamente l'atmosfera di quell'Italietta ridicola governata da personaggi tronfi e volgari.
(Ahimé, come somiglia all'Italia di oggi!).


mercoledì 17 novembre 2010

XY


Ho appena finito l'ultimo libro di Veronesi, XY.

In questo momento mi è sembrato come un'allegoria del nostro tempo, soprattutto della nostra società italiana: una confusa raccolta di frammenti che non trovano un motivo di aggregazione. La storia, come è ormai noto da articoli e interviste, racconta di una strage incomprensibile, assurda, un delitto che sembra inspiegabile. Non a caso il frontespizio del romanzo riporta una citazione di Durrenmatt, di cui ho già scritto riguardo alla sua avversione per il genere giallo, dove tutto alla fine si può spiegare razionalmente: "Un fatto non può 'tornare' come torna un conto, perché noi non conosciamo tutti i fattori necessari ma soltanto pochi elementi per lo più secondari. E ciò che è casuale, incalcolabile, incommensurabile, ha una parte troppo grande".

Quindi il trionfo dell'irrazionale.

Eroi di questa storia sono due specialisti dell'irrazionale: un prete ed una psicanalista; sono due combattenti, molto dubbiosi ed umani, contro il Male, sì, proprio l'antico Male con la M maiuscola.

E' proprio questa impossibilità a trovare un percorso razionale che accomuna la storia di XY (le incognite per eccellenza? le due assi cartesiane? ) alla nostra società attuale, accozzaglia di elementi che ha smarrito ogni disegno complessivo.

Ad un certo punto, nel libro, si paragona l'avvenimento ad un incubo: "...questa storia somiglia a un incubo... Il crollo dei nessi di causalità, l'impossibilità di trovare vie d'uscita, il simbolismo radicale di ogni singolo evento, sono tutte cose che fanno di questa storia quanto di più vicino a un incubo mi sia capitato di vivere."
Mi sembra, decisamente, il ritratto della nostra vita pubblica, oggi, in Italia: "... abbastanza assurda da umiliare la ragione che cerca di spiegarla ma non così assurda da impedirci di star qui a osservarla..."

giovedì 4 novembre 2010

Felicità on the road

L'altra sera ho visto Mammuth con Dépardieu. E' definita una commedia: a me ha procurato un attacco di malinconia; probabilmente perché ho la stessa età del protagonista (e sono pure in pensione). Sono anche piuttosto in carne (non come Dépardieu, ma almeno come sua moglie). La mia tristezza è dovuta forse alla considerazione che qualsiasi fuga dalla quotidianità, qualsiasi avventura on the road, mi potrebbe piacere, ma non mi procurerebbe la felicità che regala invece al nostro eroe. Anche perché non mi ci vedo su una moto con tutti i miei libri, con il computer, con i miei cd e dvd, con pennelli colori e tele, con tutti gli armenicoli che mi salvano dalla noia: per essere felici bisogna essere semplici d'animo? cristianamente poveri di spirito?




Il film mi è piaciuto, ma non per quello che racconta. L'ho guardato, piuttosto, come se sfogliassi un album di foto: alcune sgranate, con una luce pallida; altre con contorni sfuggenti come scattate dalla moto in corsa; altre ancora con particolari che giganteggiano agli angoli dello schermo. Bellissima la scena con un pezzo di moto nell'angolo destro, in primo piano, e un mondo sfumato dietro. Quadri.