sabato 31 dicembre 2011

Nostalgie-malinconie di fine anno

Credo che i ricordi dell'infanzia determinino in modo prevalente l'atteggiamento futuro di fronte ai vari casi della vita. Così, l'arrivo della fine dell'anno ha assunto per me, sempre, un duplice e contrastante aspetto: da una parte un senso di aspettativa gioiosa, ma dall'altra, e soprattutto, una profonda tristezza.

Nella mia infanzia toscana raramente, durante le feste natalizie, rimanevo a Monsummano, perché trascorrevo le vacanze scolastiche a Oderzo, dai nonni. Ma in quel lontano 1954, ad agosto, era nato mio fratello e, forse per questa ragione, io ero lì.

Sera di fine anno, dunque; mia madre era solo una mamma allattante, mio padre non ricordo dove fosse; noi abitavamo in questa casa - certo, allora non era così rinnovata, conservava tutte le sue magagne, e poi era divisa in due appartamenti; la camera dei miei genitori era al piano nobile, ma il resto occupava i piani più alti, a quanto mi ricordo.


Di quel giorno mi rammento la tristezza, forse mia madre soffriva del fatto di essere da sola, da sola con me e mio fratello intendo. Ad un certo punto suonarono al portone, un grande portone scuro (sembrava enorme ai miei sei anni): era il fratello più giovane di mio padre, pronto per andare ad una festa; invitò mia madre a scendere nell'atrio, dove, lei in vestaglia da camera e mio zio tutto elegante, si misero a ballare... dall'alto dello scalone li guardavo con profonda tristezza, scoppiai a piangere... è un'immagine molto nitida che torna puntualmente ad ogni fine anno e mi lascia addosso un non so che di malinconico.

Per fortuna c'è anche un'altra memoria che mi consola con il suo alone magico ed infantile, memoria un po' confusa ma sicuramente legata al fascino che emanavano i preparativi a casa di mia nonna per andare al veglione: ci andavano tutte le mie zie, credo, ma io mi ricordo soprattutto le due più giovani, la zia Fedora e la zia Luciana. La zia Luciana era il mio idolo, non c'era dama più bella di lei ai miei occhi e pensavo ai suoi balli come a quelli di una principessa delle fiabe.

Trasognata e divisa tra ingenue aspettative di chissà cosa e malinconiche riflessioni sul tempo che passa, aspetto la mezzanotte. Con la coscienza di non essere neppure originale: scommetto che queste sono le sensazioni di tutti... però i ricordi sono solo miei.

lunedì 12 dicembre 2011

Equità andiam cercando...

A tutti i compagni, amici, parenti (comprese figlie) che se la prendono con me perché Monti non garantisce l'equità sociale vorrei dire una cosa... anzi, la faccio dire a Michele Serra (che scrive splendidamente e meglio di me ciò di cui sono convinta):
«Il governo Monti può piacere o no. Ma è ingeneroso pretendere che faccia cose di sinistra, per il semplice fatto che di sinistra non è. Le cose di sinistra (la famosa equità sociale) proverà a farle la sinistra nel caso - tutt'altro che certo - che vinca le prossime elezioni. In questo frattempo l'obiettivo dichiarato è evitare la bancarotta del Paese e ricostruire una dignitosa immagine nazionale da offrire a noi stessi e al resto del mondo. Punto. Berlusconi non è stato destituito dal Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, o dalla Fiom con le bandiere in resta, o dagli indignati vittoriosi e costituiti in Direttorio in collegamento con Santoro; ma da una vecchia élite borghese con i capelli bianchi, disgustata dal populismo becero e dalla mancanza di stile e di talento (la forma è sostanza) della classe dirigente di centrodestra. La sinistra - eletti ed elettori - è autorizzata a sognare la futura equità, e a lavorare per questo. Non a rimproverare a Monti ciò che Monti non può fare prima di tutto perché gli manca il mandato elettorale, e poi perché non è certo da un bocconiano liberal-cattolico che si può pretendere un New Deal italiano. Chi a sinistra si lamenta di Monti perde il suo tempo e ruba energie alla costruzione di una alternativa elettorale seria.» (Da "L'AMACA" del 9/12/2011).
Aggiungo solo che non vuol essere assolutamente una critica al sindacato e allo sciopero di oggi: in effetti, che cosa altro può fare il sindacato, se non dar voce alle richieste legittime dei lavoratori? Le risposte, purtroppo, non ce le può dar Monti, ma una nuova stagione politica. Perciò mi auguro che le voci di protesta di oggi non dividano le forze in uno sfogo contro questo governo, ma rimangano attive per accelerare la venuta di una nuova sinistra di governo (unita, possibilmente).

lunedì 7 novembre 2011

La mia gatta

La mia gatta. La mia gatta giovane (nel senso che ho anche una gatta vecchia). A volte è là, non si capisce esattamente cosa le passa per la testa, molto probabilmente nulla (= presunzione umana).
E allora mi viene in mente "Alien" - e non ricordo se il primo o il secondo- insomma quello dove c'era una gatta. In quel film mi affascinava soprattutto il personaggio femminile, lei, da sola, in tutta la sua solitudine alleviata dalla presenza di un gatto (e secondo me poteva essere solo una gatta). Io, che sono affascinata dall'alienazione della fantascienza, in quel film che è uno dei capolavori del genere, amo soprattutto quella solitudine che non è poi solitudine, perché ci sono quei disdegnosi gesti felini, un lento leccarsi le zampine, uno sguardo ironico sulle miserie umane. Grande la presunzione di saper capire, di interpretare, di immaginare mondi animali compassionevoli nei nostri confronti - guai a scoprire il vuoto che forse si cela dietro gli occhi azzurri di Micina.

sabato 22 ottobre 2011

Evviva i dinosauri! ( e se usassi la maiuscola? i Dinosauri?)



Ieri sera Della Valle si risentiva (garbatamente, peraltro) delle critiche rivolte al suo ormai famoso e sgrammaticato discorso da Ezio Mauro. Critiche, appunto, sugli errori di grammatica usata piuttosto disinvoltamente dal simpatico imprenditore. Io sto dalla parte di Ezio Mauro, che su questo punto cita l'indimenticabile "chi parla male, pensa male" di Nanni Moretti. Della Valle gli ha dato del professorino, sembra che sia un insulto, per quanto innocente.

Ogni tanto anche a me vengono ubbie, leggeri fastidi, a vedere errori di ortografia perfino in esimi critici letterari, urtano la mia sensibilità di professorina.

E mi inducono a riflettere sui cambiamenti linguistici.

Esempio: sempre più nelle mie letture trovo che si scrive con la minuscola il nome proprio di popolo anche quando è un sostantivo ( i greci, i romani, gli inglesi, invece che i Greci, i Romani, gli Inglesi); indubbiamente piccola cosa, ma che mi infastidisce. E poi, se ormai tutti non usano più questa regola, la devo abbandonare anch'io? è ormai desueta? Suona come errore la mia ortografia?

E la «i» di "ciliegie" la devo ancora usare? Posso comprare le ciliegie da chi espone i suoi cartelli con un gigantesco CILIEGE?

Qualcuno potrebbe ribattere: «Ogni giorno ci troviamo di fronte ad una massiccia, volgarissima, disperante violazione delle regole perpetrata dai nostri governanti su questioni di estrema importanza e tu ti scandalizzi per queste piccolezze?».

E' vero, ma forse quel che succede nella lingua è simile a quel che succede nella società. Le regole, si sa, non sono eterne, cambiano con il cambiare delle condizioni storiche, la grammatica nel suo complesso trae dalla lingua parlata delle leggi che poi propone come modelli per parlare e scrivere in modo corretto, ma la lingua cambia e prima o poi anche la grammatica deve mutare. Così, nella vita civile, le leggi del passato devono adeguarsi ai cambiamenti della società.

Chi oggi si scandalizza di fronte all'indegno spettacolo di questi nostri impresentabili governanti è considerato un conservatore, un dinosauro (e per chi ha fatto il '68 è proprio dura...); ma le nuove regole non scritte ed esibite sono queste? Corruzione, becera demagogia, cronica carenza di senso etico e di senso dello Stato (si scrive con la maiuscola?), elogio del furbo e dileggio dell'onesto (mi verrebbe voglia di scriverli con la maiuscola, almeno l'«onesto»), e chi più ne ha più ne metta...

Addio, vado a vivere con i dinosauri.

sabato 1 ottobre 2011

Nessun commento

Anzi, solo un pensierino: mi dispiace per il cane che ha prestato l'immagine ...


sabato 17 settembre 2011

Lettera mai scritta

Non ci siamo
mai
fatte compagnia
né tu
alla bambina che io ero
né io
alla vecchia che ormai mi lasciava.

Ora
ricordo solo
occasioni perdute.

L'assenza
è il dolore di resta.

martedì 30 agosto 2011

Luoghi del cuore

Tempo di fine vacanza e la mente va a quei luoghi in cui per tanto tempo, in passato, ho trascorso le mie ferie: posti ormai abbastanza lontani da poter essere oggetto di nostalgia.


Ce n'è uno, in particolare, che spesso affiora con la sua carica di fascino (per me) ma anche di inquietudine; è un'insenatura nella costa che da Lussinpiccolo va verso la fine dell'isola, ci si arriva percorrendo una lunga strada che costeggia il mare e che per lunghi tratti diventa un sentiero; là ci sono le agavi in fiore (e dunque appena prima di morire, a quanto mi hanno detto), piante enormi, che mi hanno sempre provocato stupore misto a vaga paura.
A questo spettacolo è associata una delle mie poesie che preferisco (è lecito, vero, che ad un autore piaccia, almeno in parte, quello che scrive?).



Tra parentesi

Attira
inquieta
laddove muoiono le agavi -
non vorrei là
le mie ceneri,
o voi che restate -
attira
inquieta
quel passo
in linea col mare
(eppure là guardano i miei occhi)
(eppure là si deposita un desiderio occulto)
inquieta
il sovrastare di quei fiori
giganti
ritagliati nell'arco del cielo
piccoli noi davanti -
divinità aliene
(o antiche e dimenticate)
agavi straniere
venute da mondi ostili
(o non umani)
messaggeri
di parole diverse
(eppure vorrei ascoltare quel suono arcano).


settembre 2009

lunedì 25 luglio 2011

Ma davvero son tutte belle le mamme del mondo?



La retorica sulla mamma è risaputa e ci avvolge in modo tale che anche quando siamo in là con gli anni piangiamo un po' su vere o presunte mancanze d'affetto. Per quanto cerchi nella memoria gesti affettuosi di mia madre, non riesco a trovarne. E sì che ho avuto un'infanzia sostanzialmente felice, perché sono stata molto coccolata, ma l'abbraccio non era mai quello materno, o almeno non me lo ricordo: c'erano le zie, le due più giovani, e i nonni. Ho molte foto con loro; invece di me con la mamma ne conservo solo una (e credo proprio che sia l'unica, se non si conta quella in cui sono con lei e con mio padre, tra l'altro in braccio a mio padre, non a lei).


Mia madre ha sempre pensato a noi, a me e mio fratello, ha speso la vita per noi, soprattutto dopo la morte di mio padre. Eppure una carezza, un bacio, sarebbero oggi un dolce ricordo che non ho.
Mi è venuta in mente questa mia situazione infantile leggendo, tempo fa, la postfazione di Myriam Anissimov al romanzo della Némirovsky "Suite francese": la madre della scrittrice era veramente incredibile in quanto a tenerezza e anche come nonna non scherzava!
«La madre, che si faceva chiamare Fanny (dal suo nome ebraico Faiga), l'aveva messa al mondo unicamente per compiacere il ricco marito: per lei la nascita di quella figlia non rappresentava altro che il primo segno del declino della propria femminilità... nutriva una sorta di avversione nei confronti della figlia, che non ricevette mai da lei il minimo gesto d'amore».
Irène Némirovsky, sposata, con due figlie, morirà ad Auschwitz il 17 agosto 1942; il marito che cercava disperatamente sue notizie sarà a sua volta deportato ad Auschwitz il 6 novembre dello stesso anno e subito avviato alla camera a gas. Le bambine riusciranno a fuggire e a sopravvivere in mezzo a stenti e difficoltà; al termine della guerra per lungo tempo andarono alla stazione e ai centri di accoglienza per cercare i loro genitori tra i sopravvissuti ai campi di sterminio. Alla fine, esauste e senza più risorse, andarono a chiedere aiuto all'ineffabile nonna Fanny, che se ne stava a Nizza vivendo nel modo più confortevole (per tutto il tempo della guerra era stata lì, al sicuro, mentre la figlia cercava, inutilmente di sfuggire alla deportazione e di mettere in salvo almeno le sue bambine); lei non aprì neppure la porta alle nipoti e, dall'interno, consigliò loro di andare in orfanotrofio. Dopo tale prova di cinismo, uno si aspetterebbe dal cielo un segno di giustizia, invece... la cara nonna «morì a centodue anni nel suo grande appartamento di avenue du Président-Wilson».
Non mi rattristerò più pensando a carezze mancate.

sabato 11 giugno 2011

Una considerazione in più


Ormai credo si sia detto tutto, a proposito di nucleare; è difficile trovare nuovi argomenti a favore o contro. Comunque, siccome sono convinta che le sollecitazioni più efficaci (su qualsiasi argomento) vengano dalla letteratura, riporto queste parole di uno dei protagonisti di Libertà di Jonathan Franzen:
«L'effetto serra è una minaccia enorme, - disse Walter... - eppure non è grave quanto le scorie nucleari. A quanto pare, le specie possono adattarsi molto più in fretta di quanto credevamo. Se il cambiamento climatico si verifica nel corso di un centinaio di anni, un ecosistema fragile ha una piccola possibilità di salvezza. Ma quando esplode il reattore, tutto il mondo va a puttane in un colpo solo, e ci resta per i prossimi cinquemila anni.
...
Il nucleare è un pericolo incombente. Gli ecosistemi hanno zero possibilità di riprendersi da un disastro improvviso.»


Voterò sì per dire no al nucleare.


giovedì 2 giugno 2011

Ma siamo davvero così importanti? (Parte seconda)

Chissà se Robert Sheckley quando ha scritto il suo racconto intitolato "La montagna senza nome" (inserito ne Il secondo libro della fantascienza a cura di Carlo Fruttero e Franco Lucentini) aveva in mente il leopardiano "Dialogo della Natura e di un Islandese".
Certo è che anche qui gli esseri umani non brillano per rilevanza; non si può dire che la Natura li tenga in gran conto:

«Sentite la storia del mollusco sapiente e del pianeta. C'era un mollusco che, persuaso di essere nato sapiens e reputandosi quindi superiore a tutto, si credette in dovere di cambiare completamente la natura del mondo dov'era nato: distruggendo senza pietà gli altri animali e le piante, appesantendo la terra di enormi città, nascondendo l'erba sotto distese d'asfalto e di cemento, inquinando il mare e avvelenando persino l'aria.
Dopodiché, o perché fosse soddisfatto del risultato, o - più probabilmente - perché il proprio pianeta gli sembrasse ormai inabitabile, partì all'attacco di altri mondi. E lì, continuando a moltiplicarsi senza freno, ricominciò coi suoi soliti sistemi a "domare la natura".
Ora, la natura è vecchia, e lenta, e paziente; ma alla fine, inevitabilmente, si stancò del presuntuoso mollusco e delle sue imprese. E così venne il giorno in cui un grande pianeta, sentendosi pungere la pelle, s'irritò contro il mollusco e lo respinse, lo scrollò via, lo sputò fuori.
Quel giorno, il mollusco sapiente comprese con meraviglia di aver vissuto la sua breve vita all'ombra tollerante di forze a lui del tutto ignote; e cominciò anche a capire - ma forse troppo tardi - che la sua sopravvivenza o la sua estinzione non avevano per l'Universo la minima importanza...»



Ma siamo proprio tanto importanti? (Parte prima)

Mi è capitato di rileggere il "Dialogo della Natura e di un Islandese". Leopardi sa anche essere divertente, divertente-amaro diciamo.
Un vulcano islandese, anche recentemente, ci ha ricordato che se la natura ha voglia di disturbarci, basta un po' di movimento e... amen. (...e lasciamo da parte terremoti, tsunami , cicloni e catastrofi varie). Come minimo dobbiamo rivedere gli orari degli aeroporti.
Ma ritornando al nostro amato Giacomo, racconto in breve la vicenda di questo povero Islandese che voleva solo starsene tranquillo, non dico felice, che, per carità, non è dato agli umani, ma per lo meno senza troppe sofferenze; fuggito dalla sua isola, che non è certo il luogo più confortevole da abitare, dopo molte peregrinazioni nel tentativo di sfuggire alla Natura matrigna, arriva in Africa e chi ti incontra? Proprio lei, bella e terribile, con i capelli e gli occhi neri, immensa, come un idolo malefico: la Natura. Di fronte alle rimostranze del povero umano, la Natura dà la risposta che di più non potrebbe umiliarci: alla Natura di noi non importa nulla, siamo meno che niente, non ci considera, con un nulla ci annienta, anzi... non si accorge neanche che ci siamo.
"... se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei."
L'Islandese insiste, vuol discutere sullo scopo della vita; la conclusione (in doppia versione) è divertentissima: "Mentre stavano in questi e simili ragionamenti è fama che sopraggiungessero due leoni, così rifiniti e maceri dall'inedia, che appena ebbero la forza di mangiarsi quell'Islandese; come fecero; e presone un poco di ristoro, si tennero in vita per quel giorno. Ma sono alcuni che negano questo caso, e narrano che un fierissimo vento, levatosi mentre che l'Islandese parlava, lo stese a terra, e sopra gli edificò un superbissimo mausoleo di sabbia: sotto il quale colui disseccato perfettamente, e divenuto una bella mummia, fu poi ritrovato da certi viaggiatori, e collocato nel museo di non so quale città di Europa."

sabato 14 maggio 2011

Per bambini?

Stavo catalogando i libri della mia biblioteca (operazione piuttosto lunga visto che mi perdo a sfogliare i vecchi libri già letti); mi è così capitata sotto gli occhi una pagina di uno di quei libri di Rodari letti e riletti alle mie bambine quando erano piccole. Certe letture farebbero tanto bene agli adulti, soprattutto prima di andare a votare:

La voce della "coscenza"

Conosco un signore
di Monza o di Cosenza
che si vanta di dar retta
alla voce della coscenza.

Il guaio, con questo signore
di Busto o di Forlì,
è che alla sua "coscenza"
manca una piccola "i".

Se lui ruba, lei lo loda.
Se lui fa il prepotente
lei gli manda un telegramma:
- Mi congratulo vivamente.

Lui infila più bugie
che aghi su un pino?
Lui subito applaude:
-Bravo, prendi un bacino.

E dovreste sentire
quel tale cosa dice:
-Sono in pace con la coscenza,
perciò sono felice!

Ho provato ad avvertirlo,
insomma a fargli capire
che una "coscenza" simile
è inutile starla a sentire.

Lui però mi ha risposto:
-Andiamo! Per una "i"!-
quel bravo signore
di Bari o di Mondovì.

giovedì 12 maggio 2011

Per un giorno all'anno è ancora Leningrado


Ho lasciato San Pietroburgo alla vigilia della festa della liberazione, quella festa che i Russi celebrano il 9 maggio. Dopo alcuni giorni di freddo e di pioggia la città brillava di sole e del rosso delle bandiere.

Città dai molti nomi, per un giorno all'anno torna ad essere Leningrado, quell'eroica città che ha pagato con 900 giorni di terribile e dolorosissimo assedio la sua resistenza ai nazisti.

mercoledì 20 aprile 2011

Tristemente (per noi) famoso... e ridicolo, anzi grottesco

I giornali stranieri sono pieni della nostra disgrazia nazionale: un po' alla volta me ne sono fatta una ragione. Ma trovare perfino nella narrativa notizie della nostra vergogna civile mi deprime assai.
Mi limito a riportare qualcuna delle frasi di cui è cosparsa la trilogia di Javier Marías "Il tuo volto domani":
  • ... Roma, oggi trasformata in un eterno sbadiglio da quel Berlusconi con la sua cupa ombra, bello iettatore...
  • Guarda quella macchietta di Berlusconi, a quest'ora dev'essere ormai tutto quanto di lattice, lo hai visto?, sembra un ninot da baraccone. Forse lui sì dovrebbe cambiar sesso, magari in questo modo migliora un po', o si riumanizza, una nonna.
  • Un servo di Berlusconi, allora. Che disgrazia quella dei funzionari e dei militari di quel paese, tutti vassalli di un buffone. Gli si indovinano i lustrini e la giacchetta di raso rosso, anche se non ce l'ha addosso.
E pensare che l'autore scriveva questo sette anni fa. Cosa scriverebbe oggi?
Davvero non c'è fine al peggio?

lunedì 21 marzo 2011

I bambini e le favole terribili

Mia nonna me le raccontava, a volte erano proprio paurose; un lupo, parente di quello di Cappuccetto rosso, ma con qualche variante, me lo sono poi sognato diverse volte. Per non parlare di apparizioni di fantasmi. La nonna mi dava per certo che a lei, quand'era bambina, appariva sempre una giovane donna che le veniva incontro in mezzo ai campi, all'imbrunire, una donna che era da poco morta e che la salutava dolcemente. Mi raccontava questa storia con un particolare talento nel dipingere atmosfere sinistre, ed io sentivo un brivido per tutto il corpicino di bimba di sei, sette anni. Interveniva il nonno che per parte sua mi rassicurava dicendo che i fantasmi erano solo il frutto di una grande e mai saziata fame, che a quanto pare soffrivano in parecchi in quella campagna veneta all'inizio del Novecento. La paura mi restava addosso ugualmente. Ma non ne sono morta; nemmeno sono cresciuta pavida, né superstiziosa, né credulona. Tutto sommato ricordo quei racconti come lezioncine di vita (in merito alle inevitabili difficoltà dello stare al mondo).
Penso a tanti, genitori e non, che sarebbero scandalizzati solo al pensiero di raccontare favole truci ai loro bambini. Ma siamo sicuri che vada bene proteggere dalla visione del "male" sempre e comunque, anche se lo presenta una favola?
Il male esiste e forse, facendolo capire a poco a poco, nella forma della favola, si abitua il bambino a comprendere che non tutto è facile e bello nel mondo e che bisogna anche combattere contro la cattiveria.
Così esprime questo concetto il padre di Deza (protagonista de "Il tuo volto domani") :
« ... c'è questa tendenza a racchiudere i bambini in una bolla di felicità che istupidisce e di serenità falsa, a non porli a contatto neppure con quanto possa inquietare, e a evitare che conoscano la paura e perfino che sappiano che esiste, ..., che diano da leggere o leggano loro versioni censurate, raccomodate o edulcorate dei racconti classici di Grimm e di Perrault e Andersen, private dell'aspetto tenebroso e crudele, di quello minaccioso e sinistro, magari perfino dei dispiaceri e degli inganni. Una stupidaggine immensa... Non è che io creda che tutto possa né debba essere raccontato, tutt'altro. Però neppure è ammissibile falsificare in eccesso il mondo e gettarvi dentro idioti e posapiano che non siano mai stati contraddetti e a cui non si sia concessa la minima apprensione».
Perfettamente d'accordo.
E nasce di seguito un'altra domanda: "Quanta verità, soprattutto se può essere sconvolgente, si può raccontare ad un bambino? E come? E quando?
Ma di questo parlerò più avanti.

martedì 15 marzo 2011

Treno e ricordi

Quando ero bambina, figlia di madre veneta e di padre toscano, vivevo divisa in due dimensioni spazio-temporali: quella della scuola in Toscana e quella delle vacanze nel Veneto. Ogni vacanza un po' lunga era l'occasione per scappare su (il percorso mi sembrava sempre verso l'alto) dai nonni.
E il treno era il magico congiungimento tra i due mondi.
Spesso era la nonna a venirmi a prendere, oppure una delle zie più giovani. Quei viaggi rimarranno per sempre nella mia memoria: arrivavamo di notte e alla stazione c'era il nonno ad aspettarci; caricava le valigie sulla bicicletta e ce ne andavamo tutti allegri verso quella che per me era la vera casa.
Ora la stazione è là, semiabbandonata, senza più le funzioni di un tempo.
Perché questo improvviso ricordo?
Nel romanzo di Davanzo Compagni a Quadrivio Zappata ho trovato traccia di quelle emozioni "ferroviarie" (del resto anche il titolo ci porta sul treno...):
«Un treno nel '57 era soprattutto ferro che srotolava la sua corsa sul ferro, senza troppe attenzioni per chi vi era sopra, che sobbalzava sul ritmo dei carrelli che danzavano sui giunti e sulle improvvise deviazioni degli scambi, che davano al suo sferragliare l'intonazione di una nenia greve, ritmata e alla fine soporifera. ... vide i mille colori del verde mescolarsi rincorrendosi a una velocità ipnotica, e i fiumi scavalcati in un attimo gli davano il senso di una corsa fuori dal tempo e verso l'ignoto». E di cosa volesse dire il viaggiare in treno da ragazzo per il protagonista, scrive l'autore: «... percepiva quel distacco, come si trattasse di due dimensioni temporali sfasate e lontane l'una dall'altra, due pianeti distinti e non già due luoghi dello stesso paese».
Struggente.

giovedì 3 marzo 2011

L'educazione dei figli

Quel che più mi piace nei romanzi di Javier Marías è quel suo divagare nei meandri del tempo e della memoria per raccontare qualcosa che sempre mi sorprende nella sua famigliarità: sono, spesso, annotazioni che stimolano la mia, di memoria.
Il protagonista di "Il tuo volto domani" racconta-ricorda il figlio (e il ricordo del bambino, e poi ragazzetto, gli è richiamato da un altro bambino, e quest'ultimo, a sua volta, da un altra immagine del passato in una catena che si snoda lungo le direttive del tempo): e a questa catena anch'io mi riallaccio, lettrice che continua fuori del libro la vita del libro. Perché le sue considerazioni sull'educazione dei figli mi fanno venire in mente una bambina di tanti anni fa.
«... e cominciavo a temere per lui, era molto paziente e protettivo con la sorella e spesso partecipava fin troppo e cedeva, come chi sa che è cosa nobile e retta che cedano sempre i forti davanti ai deboli non tirannici e non abusivi, un principio oggi antiquato, perché oggi di solito sono spietati i forti e dispotici i deboli... soffrono molto nella vita coloro che fanno da scudo, e i sorveglianti, con il loro occhio e il loro udito sempre desti. E quelli che vogliono giocare pulito a oltranza...»
E come il protagonista, anch'io a volte mi sono chiesta se sia stata una giusta educazione la mia:
«A volte mi domando se non sono un cattivo padre per non averlo addestrato, per non avergli insegnato ciò che conviene: astuzie, furberie, intimidazioni, cautele, lamenti; e ancora egoismo.»

martedì 22 febbraio 2011

Tiriamoci un po' su

Che tristezza, che spettacolo, che voglia di girarsi dall'altra parte, e ancora... che voglia di tuffarsi in qualcosa di elevato culturalmente, almeno un po'... di uscire da questa miseria intellettuale, da questo avvilimento infinito.
Vorrei risvegliarmi ad "agonia finita", e dormirei volentieri fino ad allora se non avessi paura di una catastrofe imminente da fronteggiare ad occhi bene aperti.

Di cosa sto parlando? Ma del panorama politico-culturale-intellettuale italiano offerto dall'attuale "banda" che ci governa!

Perché, come felicemente si è inventato l'altro giorno mio marito, «fatti non fummo a viver come bruchi, ma per diventar farfalle».


Non mi conforta il fatto che questo sentimento sia provato da molti: invito a leggere quel che scrive J.Marías, che ha riportato dalla sua recente visita in Italia (paese che ama molto, nonostante tutto) la sensazione di un dilagante diffuso disperarsi mai riscontrato prima :"nunca había percibido, en mis visitas a ese país, un grado de desesperación semejante".

Spero solo che noi che eravamo in piazza il 13 febbraio non smettiamo di indignarci!

venerdì 4 febbraio 2011

Dedicato a tutte le sedicenni (e ai loro genitori)

An education è un piacevole film del 2009 diretto da Lone Scherfig; la sceneggiatura è opera di un bravo scrittore, Nick Hornby.
Racconta la storia di una diligente studentessa che si sta preparando con fatica ma convinta ("studi leggiadri e sudate carte") per entrare a Oxford. Famiglia di idee conservatrici nell'Inghilterra degli anni Sessanta: la ragazza, "giustamente ribelle", è molto presa dall'idea della Parigi esistenzialista. Le capita di incontrare un giovane affascinante, di cui si innamora e che la introduce nel "bel mondo". Anche i genitori di lei si lasciano incantare e le permettono di abbandonare gli studi e di seguirlo senza sapere esattamente di che cosa si occupi quest'uomo che ha il doppio dell'età della loro figlia.

Mi ha particolarmente colpita la scena in cui la protagonista rimprovera al padre proprio questo, cioé di non averle proibito di abbandonare gli studi per inseguire aspirazioni fasulle.


E vengo alle sedicenni di oggi; d'accordo, i tempi sono molto cambiati (nel senso che tutto è diventato più volgare), ma farebbe bene vedere questo film a molte ragazzine tutte prese ad inseguire chissà quale successo nel mondo dello spettacolo, senza considerare minimamente la qualità dei mezzi per ottenere denaro e divertimento. E soprattutto dovrebbero vederlo certi genitori che nemmeno lontanamente pensano che ci sia anche il cammino degli studi per crescere in modo dignitoso, che anzi spingono le loro figlie verso strade facili, ma piuttosto mal frequentate.

giovedì 27 gennaio 2011

Gli Italiani e la ricevuta fiscale

Ormai è stato detto tutto di questo film.


Fa ridere?
Certamente sì: nelle prime scene si ride, poi ci si vergogna di ridere e di trovare repellente il personaggio solo in modo molto blando e buffo, quasi con affetto, come si fa con le persone che occasionalmente si aggiungono alla nostra cerchia e che accettiamo, anche se non condividiamo nulla con loro, solo perché ci fanno ridere.
Subito dopo ci si dice che la satira richiede sì esagerazioni, ma certamente Albanese, in questo film, ha esagerato troppo...

E dopo ancora si piomba in una cupa tristezza, perché ci si accorge che la realtà ha ormai superato la satira, per quanto esagerata sia.

Tra tutti i vizi nazionali descritti in questo film, trovo particolarmente riassuntivo quello raccontato nella scena della ricevuta fiscale: quanti tra molti bravi cittadini, di destra, di sinistra, di centro, io stessa forse, si peritano di chiedere la ricevuta fiscale?

Amaro, amarissimo. Chi ha ancora voglia di ridere?

domenica 16 gennaio 2011

Una parola tira l'altra

Sallustio, all'inizio della sua "Congiura di Catilina" loda la gioventù dei primi tempi di Roma, che provava più soddisfazione a compiere azioni di gloria piuttosto che a frequentare prostitute e festini (in scortis atque conviviis); infatti confrontava quei giovani di allora con i suoi contemporanei, tipo Catullo ad esempio.
Racconta Catullo, in una sua poesia (X, 1-4), che l'amico Varo lo invita ad andare da una sua graziosa scortillum. A rigor di termini chi frequenta scortilla è uno scortator (termine oraziano: vedi libro II, satira V, verso 75).
Chissà se chi in questi giorni si angustia per ciò che chiama attacchi alla sua vita privata è orgoglioso di appartenere (per questo aspetto) alla stessa categoria di uomini a cui apparteneva Catullo. Per carità, nessun moralismo, ma Catullo non era ultrasettantenne e, cosa ancor più stupefacente, non aveva la responsabilità del governo di uno Stato.
(Ogni riferimento a persone, luoghi e circostanze reali è puramente voluto).

sabato 8 gennaio 2011

Per un buon 2011

Voglio cominciare il mio blog-2011 con la foto di un amico, Mario Collepardi, comparsa sul Corriere del Veneto.



Come si vede sta sventolando il tricolore davanti a un gazebo della Lega a Treviso. Credo che non servano tante parole, il gesto è eloquente e profondamente condiviso da me e dai miei amici trevigiani più cari.

Spero solamente che sia di buon augurio per l'anno che comincia, spero cioè che i barbari, che non sanno (o non vogliono sapere) che cosa significhi Stato, quei barbari che sono tribù e che non riconoscono altra legge che quella tribale, altra fedeltà che quella al capo-tribù, finalmente si civilizzino.