sabato 19 giugno 2010

Il mio saluto a Saramago

Penso che in questi giorni si spenderanno fiumi di parole per ricordare Saramago. Desidero salutarlo anch'io, consapevole che non sarò né originale né profonda. Voglio solo dire che il mondo sarà un po' più triste e senz'altro meno civile: la sua presenza mi ricordava che da qualche parte c'era qualcuno che interveniva lucidamente nel caos di barbarie che ci sta sommergendo.
Nella mia biblioteca sono molti i libri di Saramago che devo ancora leggere; proprio per ricordarlo lascerò da parte altre letture e mi dedicherò solo alle sue opere. Tra gli scritti che ho già letto preferisco Cecità: è il romanzo che me lo ha fatto conoscere ed è un po' come il primo amore. Romanzo eccezionale e coinvolgente, uno di quei libri che si cominciano e non puoi smettere di leggere anche se ti angosciano. Indimenticabile la moglie del medico, una donna che racchiude in sé un'accorata saggezza tutta femminile. Il romanzo si chiude con il suo sguardo sulla città:

Perché siamo diventati ciechi, Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione, Vuoi che ti dica cosa penso, Parla, Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.
La moglie del medico si alzò e andò alla finestra. Guardò giù, guardò la strada coperta di spazzatura, guardò le persone che gridavano e cantavano. Poi alzò il capo verso il cielo e vide tutto bianco, E' arrivato il mio turno, pensò. La paura le fece abbassare immediatamente gli occhi. La città era ancora lì.

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