Se, come ho scritto tempo fa, il giallo decreta il trionfo della razionalità e garantisce il ristabilirsi della giustizia, esiste anche l'antigiallo; che, naturalmente, metterà in scena il fallimento della ragione e, di conseguenza, il non raggiungimento dello scopo primario di ogni indagine: la punizione del colpevole.
Nemico dichiarato del genere poliziesco, Durrenmatt scrive appunto l'antigiallo, anzi scrive "un requiem per il romanzo giallo" : nel suo breve romanzo La promessa (da cui è stato tratto l'omonimo film di Sean Penn) costruisce la sconfitta del detective per eccellenza, l'ispettore Matthai, che, pur avendo correttamente ragionato ed indagato, perderà la partita per una banale casualità.
Marina Polacco, nel suo saggio L'intertestualità, riporta la seguente affermazione di Durrenmatt, molto illuminante sulla natura del genere giallo: "No, quel che mi irrita di più nei vostri romanzi è l'intreccio. Qui l'inganno diventa troppo grosso e spudorato. Voi costruite le vostre trame con logica; tutto accade come in una partita a scacchi, qui il delinquente, là la vittima, qui il complice, e laggiù il profittatore; basta che il detective conosca le regole e giochi la partita, ed ecco acciuffato il criminale, aiutata la vittoria della giustizia. Questa finzione mi manda in bestia". Vero, verissimo, ma è proprio per questo che a me piace questo tipo di narrativa: so bene che è consolatorio, ma dobbiamo sempre soffrire?
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