giovedì 26 agosto 2010

Dalla Grecia antica con amore: parliamo di federalismo

Ho appena finito di leggere il saggio di Ampolo sulla città greca (saggio inserito nell'opera I Greci di Einaudi): è incredibile quanto possano ancora dirci gli antichi sul nostro presente.
In particolare mi ha colpita il concetto di "società faccia a faccia", che nasce appunto nell'ambito della polis (tralascio la questione del diverso concetto di democrazia, che non è comparabile con quello contemporaneo).
Il problema nella polis (entità paragonabile ad uno stato, come oggi lo concepiamo) è combinare la necessità dell'unità con le esigenze particolari delle singole comunità: e quando noi parliamo di federalismo, non ci troviamo forse davanti allo stesso dilemma?
Scrive Ampolo: "In modi diversissimi, che si manifestano nella grande varietà delle istituzioni e dei regimi politici, le città greche hanno combinato lo spirito di comunità con la creazione di un quadro unitario relativamente più ampio, nel quale era importante non solo l'affermazione di una identità unica sul piano politico e religioso (quella della polis) ma anche una partecipazione e un'equa distribuzione di tutto tra le varie componenti."
Invece di blaterare di federalismo in modo strumentale, procedendo per slogan che vogliono dire tutto e niente, sarebbe utile ampliare lo sguardo, ascoltare la storia e la cultura e non pretendere di ridurre una questione così complicata a merce di scambio, semplificando ciò che è per natura complesso.
Ma il tutto sembra nelle mani sbagliate, o per lo meno in teste incapaci di comprendere la complessità. E in questa semplificazione si insinua anche il pensiero che un luogo sia per sempre proprietà di un gruppo e che nessuno possa pretendere di farne parte se è "straniero" o "non omologato".
Così copio Ampolo, e ricorro ad una citazione da Le città invisibili di Italo Calvino:
"... talvolta città diverse si succedono sopra lo stesso suolo e sotto lo stesso nome, nascono e muoiono senza essersi conosciute, incomunicabili tra loro. Alle volte anche i nomi degli abitanti restano uguali, e l'accento delle voci, e perfino i lineamenti delle facce; ma gli dèi che abitano sotto i nomi e sopra i luoghi se ne sono andati senza dir nulla e al loro posto si sono annidati dèi estranei".
Solo l'arroganza dei cretini si permette di pensare che un qualsiasi luogo rimanga uguale a se stesso per sempre, senza cambiamenti, senza apporti di varia natura, senza inquinamenti ad opera della diversità.

1 commento:

  1. Questo post mi ricorda molto da vicino una frase detta da Moni Ovadia, non provo neppure a citarla per non offendere l'autore, ma il concetto, illuminate nella sua semplicità era che è ridicolo pensare che un popolo abbia il possesso di un luogo perché è lì da un tot di tempo dal momento che l'intera storia dell'uomo è una frazione di tempo assolutamente trascurabile di fronte all'età del mondo e dell'universo.

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