E' vero, la storia mai si ripete; ma questo è solo un gioco.
Ogni volta che leggo un libro che parla di tempi passati, vivo su due piani strettamente congiunti, l'oggi e il tempo del romanzo. Questa volta tocca a Ipazia muore (Ipazia, a cui dedicherò presto altre noticine) di Maria Moneti Codignola.
Allora, di chi si parla?
«... tutto quello che abbiamo fatto finora, io con la filosofia e tu con l'osservanza scrupolosa delle leggi e con le guardie, non è servito a niente. La gente se ne infischia della filosofia e del diritto. Delle guardie ha paura, questo sì, ma quando vede che la sua forza sta crescendo e che le guardie invece sono sempre più deboli, prende baldanza. E poi ci sono emozioni più forti della paura, ci sono entusiasmi, eccitazioni e furori che spingono gli uomini alle azioni più insensate ... Il loro (...?) sta diventando di giorno in giorno più popolare e quindi potente, le masse lo seguono, vanno in delirio per lui. Non vogliono discorsi razionali e freddi, ma incitamenti, grida di battaglia, emozioni forti. E vogliono immedesimarsi nel loro capo, vogliono poterlo amare, adorare. Conta di più il modo di gestire, di recitare la propria parte, di andare in scena con dispendio di effetti, che non il parlare pacatamente, l'argomentare con ragionamenti corretti.»
E Ipazia esorta il prefetto Oreste ad imparare ad usare le armi comunicative di questo bel personaggio: «Sì, deve essere una sorta di spettacolo, una pantomima come quelle che mandano in visibilio il popolino e lo riempiono di emozione. ... dovrai anche mettere in mostra le tue ferite, ... perché l'immagine del prefetto come uomo ferito, sanguinante, che soffre, insomma di una vittima, piace alla gente, soprattutto alle donne, e suscita simpatia, anzi adesione appassionata.»
E' l'oggi che riscrive momenti del passato o è il passato che prefigura l'oggi? Bel giochino.
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