La retorica sulla mamma è risaputa e ci avvolge in modo tale che anche quando siamo in là con gli anni piangiamo un po' su vere o presunte mancanze d'affetto. Per quanto cerchi nella memoria gesti affettuosi di mia madre, non riesco a trovarne. E sì che ho avuto un'infanzia sostanzialmente felice, perché sono stata molto coccolata, ma l'abbraccio non era mai quello materno, o almeno non me lo ricordo: c'erano le zie, le due più giovani, e i nonni. Ho molte foto con loro; invece di me con la mamma ne conservo solo una (e credo proprio che sia l'unica, se non si conta quella in cui sono con lei e con mio padre, tra l'altro in braccio a mio padre, non a lei).
Mia madre ha sempre pensato a noi, a me e mio fratello, ha speso la vita per noi, soprattutto dopo la morte di mio padre. Eppure una carezza, un bacio, sarebbero oggi un dolce ricordo che non ho.
Mi è venuta in mente questa mia situazione infantile leggendo, tempo fa, la postfazione di Myriam Anissimov al romanzo della Némirovsky "Suite francese": la madre della scrittrice era veramente incredibile in quanto a tenerezza e anche come nonna non scherzava!
«La madre, che si faceva chiamare Fanny (dal suo nome ebraico Faiga), l'aveva messa al mondo unicamente per compiacere il ricco marito: per lei la nascita di quella figlia non rappresentava altro che il primo segno del declino della propria femminilità... nutriva una sorta di avversione nei confronti della figlia, che non ricevette mai da lei il minimo gesto d'amore».
Irène Némirovsky, sposata, con due figlie, morirà ad Auschwitz il 17 agosto 1942; il marito che cercava disperatamente sue notizie sarà a sua volta deportato ad Auschwitz il 6 novembre dello stesso anno e subito avviato alla camera a gas. Le bambine riusciranno a fuggire e a sopravvivere in mezzo a stenti e difficoltà; al termine della guerra per lungo tempo andarono alla stazione e ai centri di accoglienza per cercare i loro genitori tra i sopravvissuti ai campi di sterminio. Alla fine, esauste e senza più risorse, andarono a chiedere aiuto all'ineffabile nonna Fanny, che se ne stava a Nizza vivendo nel modo più confortevole (per tutto il tempo della guerra era stata lì, al sicuro, mentre la figlia cercava, inutilmente di sfuggire alla deportazione e di mettere in salvo almeno le sue bambine); lei non aprì neppure la porta alle nipoti e, dall'interno, consigliò loro di andare in orfanotrofio. Dopo tale prova di cinismo, uno si aspetterebbe dal cielo un segno di giustizia, invece... la cara nonna «morì a centodue anni nel suo grande appartamento di avenue du Président-Wilson».
Non mi rattristerò più pensando a carezze mancate.
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