martedì 15 marzo 2011

Treno e ricordi

Quando ero bambina, figlia di madre veneta e di padre toscano, vivevo divisa in due dimensioni spazio-temporali: quella della scuola in Toscana e quella delle vacanze nel Veneto. Ogni vacanza un po' lunga era l'occasione per scappare su (il percorso mi sembrava sempre verso l'alto) dai nonni.
E il treno era il magico congiungimento tra i due mondi.
Spesso era la nonna a venirmi a prendere, oppure una delle zie più giovani. Quei viaggi rimarranno per sempre nella mia memoria: arrivavamo di notte e alla stazione c'era il nonno ad aspettarci; caricava le valigie sulla bicicletta e ce ne andavamo tutti allegri verso quella che per me era la vera casa.
Ora la stazione è là, semiabbandonata, senza più le funzioni di un tempo.
Perché questo improvviso ricordo?
Nel romanzo di Davanzo Compagni a Quadrivio Zappata ho trovato traccia di quelle emozioni "ferroviarie" (del resto anche il titolo ci porta sul treno...):
«Un treno nel '57 era soprattutto ferro che srotolava la sua corsa sul ferro, senza troppe attenzioni per chi vi era sopra, che sobbalzava sul ritmo dei carrelli che danzavano sui giunti e sulle improvvise deviazioni degli scambi, che davano al suo sferragliare l'intonazione di una nenia greve, ritmata e alla fine soporifera. ... vide i mille colori del verde mescolarsi rincorrendosi a una velocità ipnotica, e i fiumi scavalcati in un attimo gli davano il senso di una corsa fuori dal tempo e verso l'ignoto». E di cosa volesse dire il viaggiare in treno da ragazzo per il protagonista, scrive l'autore: «... percepiva quel distacco, come si trattasse di due dimensioni temporali sfasate e lontane l'una dall'altra, due pianeti distinti e non già due luoghi dello stesso paese».
Struggente.

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